Thursday, May 14, 2009
Racconto trovato sul web!
Eccolo là che mi aspetta al solito dehor. Lo sguardo furbetto e affusolato come quello di una volpe che punta un canarino. I capelli lunghi il giusto, appena sopra le spalle, mosca sul mento e occhiali da sole tirati su a far da contorno. Lo riconoscerei da un chilometro. Affronta il caldo di settembre con la sua solita maglietta da giovane taglia “s”, il logo d’ordinanza stampato in bella vista sul petto. Giocherella con le dita, tiene il ritmo di una canzone immaginaria che sente solo lui, toccando con i polpastrelli il bordo del posacenere. Una bottiglietta di Ceres mezza piena (oggi mi sono alzato ottimista) è posata a pochi centimetri dal bordo metallico del tavolino. Quando mi siedo gliela sposto un po’ verso il centro. Non si sa mai.
- Allora cazzone, com’è? – gli faccio. Mi piace salutarlo come merita.
- Ciao bestia. Bene! Sereno come un pesce.
- Bella faccia che c’hai. Cos’è hai appena finito di ciulare?
- Beh… – mi risponde, allargando le braccia come chi ha dovuto adempiere a un dovere fastidioso ma necessario.
- O Cristo!… Mi fai morire. Io in ufficio a farmi le balle à la julienne e tu che ci dai dentro. Ma sarà una merda la vita o no?
- Per me mica tanto…
- E chi era la disperata?
- Ma niente, la nuova impiegata della sala prove. Era una settimana che era arrivata e mi sembrava corretto darle il benvenuto.
- E certo…
- Allora. Che prendi, bestia?
- Boh… non ho nemmeno mangiato a pranzo. Aspetta che vado a fare il carico di tartine. Ehi? Scusa? – faccio al ragazzo del bar – Porti una Ceres anche a me?
- Dai, fai il pieno. Ti aspetto.
- Ok. Vado e torno.
Mi riempio il piattino che nemmeno un profugo in fuga dai bombardamenti. Il cameriere mi incrocia con la mia birra in mano e mi osserva un po’ schifato. Faccio finta di nulla e torno da Riccardo. Eccolo là, l’orecchio attaccato al cellulare e lo sguardo annoiato. Sarà di certo una sua fiamma un po’ rompicoglioni. Quando mi siedo sento che ha già attaccato con le frasi standard. Una fiamma molto rompicoglioni, penso.
- Ma no… È che ho avuto da fare. Il lavoro… E poi il pensiero del piccolo in arrivo non mi fa dormire. No… Domani non posso – “ora stacco”, mi fa, “scusami…”
- Tranquillo – gli sussurro, buttando giù il primo sorso di birra gelata.
- No… domani no, te l’ho detto. Magari giovedì della prossima. Devo vedere come sono messo. O una mattina in ufficio da me, quando lo schiavo è fuori… Dai ti richiamo che sto finendo un lavoro, ok? Ma sì che starai meglio… Cazzo, vuoi che non lo sappia io che ti conosco così bene? Dai, bella… Coraggio che ci vediamo presto, ok? – attacca, finalmente. E alza gli occhi al cielo – Eccomi, bestia!
- Ma certo, come no. Insultami pure… Ma pensa te. Io lo aspetto e lui mi insulta. Allora? La tizia della sala prove? – gli chiedo indicando il cellulare con una tartina al tonno.
- No, un’altra… Cosa, lì… Te ne ho parlato…
- Ma chi? Sempre quella? È tornata alla carica?
- E che cazzo ti devo dire? Mi chiama, mi scrive… Manda sms… E meno male che sto cellulare lo tengo sepolto in ufficio. Che se ci mette le mani sopra Elena…
- Ti sfonda – sintetizzo, mettendomi in bocca una pizzetta alle acciughe.
- Mi sfonda, bravo. Che già c’ha i suoi pensieri…
- Appunto, novità? – e via con un’oliva ascolana.
- Eh… Siamo al conto alla rovescia. Se i calcoli sono giusti siamo a meno dieci!
- Sticazzi! E poi Riccardino diventa papà… Ma pensa te. Riccardo “trapano senza cuore”… papà!
- Grazie! Bell’amico che sei.
- No… dico… Caro mio, almeno quando diventi padre lo vorrai mettere un po’ di sale in zucca? “Papa-rino biri-chino”… “Cambia svelto, il tuo bambino”… – gli canticchio sulle note di The Wall.
- Finiscila, che mi dai fastidio!
- Oh, scusa. Oh, oh oh… “scusa scusa, papa-rino”… – ricomincio, azzannando un salatino agli asparagi – E come lo chiamate? Vi siete decisi finalmente?
- No. Va a finire che gli daremo due nomi… D’altra parte tale padre, tale figlio…
- Beh, spero che venga su un po’ più morigerato se è per quello.
- Dai Cristo! Lo sai com’è, no? Che fai? Se te la porgono su un piatto d’argento la lasci stare? La butti via? Io a te non ti ci vedo a buttarla via. E non ti vedo nemmeno tanto nel ruolo del padre modello…
Un tizio due tavolini più in là ci osserva tutto concentrato. Dobbiamo essere uno spettacolo decisamente interessante.
- Vabbè, lasciamo stare che ti stai già incazzando. Io lo dico per te, poi fai come ti pare.
- Troppo buono! Dai, che ho suonato tutto il giorno e mi sono spaccato le dita, non vorrei ferirmi a mollarti un ceffone.
- Recepito il messaggio. Ok… Allora? Al telefono mi hai parlato di un nuovo tour. Quando si parte? – Gli chiedo, mentre butto giù un altro bel sorso.
- Se tutto va bene a ottobre. Sempre che quel cretino del bassista, riesce a farsi dare qualche giorno di ferie.
- Andate in giro stavolta?
- Poca roba. Un po’ di Milano… due giorni a Rimini. Però, cazzo, io c’ho una sensazione troppo positiva. Stavolta spacchiamo, cazzo. Spacchiamo di brutto.
- Mmmmm….
- Che vuol dire “mmmmm”?
- No, pensavo. Quant’è che ci conosciamo? Vent’anni?
- Ventuno.
- Ventuno. E quant’è che suoni col gruppo? Una quindicina?
- Tredici! E allora?
- E allora mi avrai detto “stavolta spacchiamo” almeno un migliaio di volte. Per carità, però…
- Ma vaffanculo!
- No, dai! Io ho fiducia, davvero. Magari spaccate sul serio. E che cazzo, ve lo meritate!
- Puoi dirlo che ce lo meritiamo. Fanculo! Tre anni fa abbiamo aperto anche il concerto di Mal… Te lo ricordi Mal, no?
- Mal dei Primitives… Lo so, lo so.
- Tornando sul pezzo… Allora – mi sporgo un po’ in avanti sul tavolino e gli sparo un bell’occhiolino a tradimento – questa qua che vuole ancora da te?
- O cazzo! Ancora?
- Dai! Se ti chiedo del paparino ti incazzi, se ti parlo di musica ti incazzi! Almeno parliamo di figa, così non ti scasso più!
- Minchia se sei molesto! Che vuoi che ti dica? Non può fare a meno di me, si vede – mi dice, mentre sogghigna e butta giù la sua ultima boccata di Ceres.
- Beh… questo è certo. Quant’è già che va avanti? Tre anni? Quattro?
- Cinque – mi fa, aprendo bene le dita della mano sinistra.
- E cazzo! Cinque anni sono da roba seria… Ma tu? Che fai? Le dai ancora corda?
- Diciamo che se la prende, la corda. Non so se mi spiego.
- Perfettamente, marchese…
- Ma niente, ci siamo visti ancora qualche giorno fa. Era depressa e aveva voglia di parlarmi un po’. Poi sari com’è… “Vieni qua”… “Fatti consolare…” e via che si balla.
- Beh… chiaro! Motivo?
- Boh, dice che è di nuovo in crisi col tizio. Lei dice che è per un’altra. Secondo me si è solo rotto il cazzo, pover’uomo. Fra lei e i gagni avrà sclerato.
- Vacci piano, giudice… che fra un po’ magari tocca a te.
- A me non capita. Lo sai che io… Scusa, ma che cazzo guardi?
- Ma niente, c’è uno che ci guarda da un po’… E non ti girare cazzo!
- Boh… vorrà un autografo. Guarda che abbiamo dei fans noi…
- Sì, certo. Comunque, il tizio di questa qua lo conosci o no? – gli chiedo, mentre il nostro pubblico solitario si alza e si dirige alla cassa.
- Ci manca solo quello! Lei ogni tanto me ne ha parlato… Boh… sicuramente non è un mostro di acume. Sai, mi fa perfino un po’ pena. Ma in fondo chi se ne fotte, no? Se non ero io era un altro. E poi a sta qui basta solo darci sotto ogni tanto. Due paroline dolci per fare il pieno di autostima e via…
- Voglio vederlo se viene a spaccarti la faccia se fai tanto il disinvolto.
- Ehi! Mica si lasciano per colpa mia!
- Io non ti ho detto nulla.
- Seeeeee, ti ho già visto là, con l’occhio da madre superiora… Io non ho niente da rimproverarmi. È sempre stata lei a cercarmi e io sono sempre stato super chiaro: sto con Elena e non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello di mollarla.
- Di mollarla, no. Però di riempirla di corna… quello è un altro discorso.
- Ma vaffanculo, te! Che ne sai delle corna? Vuoi dire che non le hai mai fatte a Michela?
- No. Io alla mia famiglia da Mulino Bianco ci tengo sul serio. Mica come te…
- Ehi, bestia! Ci tengo anch’io! Non ci provare nemmeno.
- Di’, quando si dice il caso… Senti un po’ la radio…
L’altoparlante appeso al muro sembra divertirsi a intervenire nella discussione: …curo le foglie… saranno forti…
- Smettila. Manco mi piacciono gli Afterhours…
- Beh… ammetterai che è una bella coincidenza!
…se riesco ad ignorare… che gli alberi son morti…
- Ma andatevene tutti… Non mi fare paragoni del cazzo per cortesia!
- D’accordo… Hai vinto. Via i paragoni. – e per rafforzare il concetto libero il piattino dall’ultima pizzetta.
- Sì, vabbè.
- Oh, se non ti vuoi fidare. Liberissimo… La mia vita non cambia di una virgola.
- Cos’è? Mai capitata l’occasione giusta per fare nuove esperienze?
- No, beh… quello sì. Ma mi sono sempre riuscito a controllare.
- Bravo piciu! Un giorno ti sveglierai con un paio di querce sulla fronte e allora sì che vedrai quanto è bello essere onesti e leali! Fanculo!
- Dai, io devo andare – butto là, finendo la birra. Come sempre gli è bastato meno di mezzora per farmi girare le palle come un mulino a vento.
- Di già?
- Ehi splendido! Al mondo c’è anche gente che c’ha da fare. Michela torna tardi e vorrei darle una mano a cucinare.
- Oh, il mio tenero trottolino amoroso!
- E tu, simpatia? A casa non ci torni? Guarda che sono quasi le otto.
- Sì, lo so… dovrei. Oggi Elena andava a fare compere con la madre… Ora che torno a casa dovrei trovarmi in salotto tutto l’ambaradan del passeggino… Forte!
- Eh! Lo vedo… c’hai la pelle d’oca dall’emozione – e gli piazzo il braccio sotto al naso.
- No, davvero. Mi faccio ancora un giro di birra e vado.
- Contento tu… Dai, offro io – gli dico alzandomi –. Te la ordino mentre esco. Ciao, cazzone! Fammi sapere quando il piccolo decide di mettere la testa fuori. O quando tu la metti a posto, è chiaro.
- Non temere, bestia. Oh, ti mando il link con le date del tour. Fai un salto se riesci. Mi trovi sul palco. Io sono quello figo…
- … “quello figo con le bacchette”… Lo so. Me lo dici… da quanto? Tredici anni?
- Fanculo! – mi risponde, mentre lo saluto con la mano aperta, da dietro le spalle.
A un paio di metri dalla cassa ecco di nuovo il tipo che ci guardava tutto interessato.
- Buongiorno, amico! – gli butto lì mentre me ne vado –. Guarda che per lo show sono cinque euro…
Quello mi scruta attraverso due lenti nere come la notte. La voce neutra e fredda, da impiegato del catasto in straordinario. – Il tuo amico là… - mi fa indicando il dehor – si chiama Riccardo?
- Sì, perché?
- Volevo solo essere sicuro di non sbagliare persona… Grazie – mi risponde uscendo.
Lo seguo con lo sguardo fino al tavolino di Riccardo. Il tizio sembra rivolgergli la parola, anche se non lo vedo nemmeno muovere le labbra. Il cazzone alza la faccia e lo guarda, senza dire una parola, poi sorride e gli fa di sì con la testa. Davanti a lui l’impiegato del catasto, jeans chiari, camicia bianca e giacca grigia, resta immobile per qualche secondo. La sua mano si infila furtiva nella tasca della giacca e ne tira fuori qualcosa di scuro, che sul momento non riesco a mettere a fuoco.
Il colpo arriva proprio in quel momento. Un rumore secco, come una fucilata. Che mi fa saltare il cuore in gola e buttare il portafoglio per terra dallo spavento. La cassiera guarda oltre le mie spalle, con gli occhi sbarrati. Sul ripiano, proprio vicino al registratore di cassa, un tappo di sughero è atterrato fra cioccolatini e scatole di chewingum.
- Nicola, ma vuoi fare attenzione quando apri lo spumante? Quante volte te lo devo dire. Non siamo mica a un gran premio! Vai… tavolo tre, vola! – gli urla il proprietario, spingendolo fuori per le spalle.
Istintivamente mi giro verso il dehor. Riccardo sembra non essersi accorto di nulla. È di nuovo stravaccato sulla seggiolina di acciaio, con la bottiglia in mano. Mister catasto è sparito dalla circolazione. Me lo ritrovo alle spalle, silenzioso come un killer.
- Era proprio lui! Grazie. Non ci crederà ma la loro musica mi piace molto. Mi ricorda troppo…
- Mal dei Primitives? – azzardo.
- Esatto! – mi risponde, prima di andarsene via tutto contento. Con il suo bell’autografo stampato sulla moleskine.
“Cazzo… Un fan. Non ci posso credere”. Penso io, con la cassiera che mi guarda seria e non capisce cosa ci trovi di tanto divertente. La guardo e cerco di darmi un contegno. - Tre Ceres – le faccio, raccogliendo il portafoglio da terra. Ancora non riesco a smettere di ridere.
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